Campanile

La “torre nuova” fu costruita poiché il precedente campanile, situato accanto alla chiesa parrocchiale vecchia (la costruzione della nuova era iniziata nel 1693), essendo diventato pericolante, era stato demolito nel 1720.
Indirizzo Via Amilcare Baronchelli, 53, 25013 Carpenedolo BS, Italia
Nome alternativo Torre Nuova
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Cap 25013
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È la statua di San Bartolomeo o di un altro santo quella recentemente restaurata, posta a mezza altezza del campanile di Carpenedolo? E’ sorto qualche dubbio, in occasione del restauro. Un atto notarile, del 14 marzo 1746, ritrovato da chi scrive, 22 anni fa, ma dallo stesso dimenticato, anche se già in sintesi pubblicato, ora in qualche modo riesumato e qui riproposto, ritorna utile per togliere tutti i dubbi, o meglio per confermare quanto già si sapeva.

Giova richiamare, prima, qualche nota storica, come quadro di riferimento.

La “torre nuova”, come la chiamarono allora i Carpenedolesi, fu costruita poiché il precedente campanile, situato accanto alla chiesa parrocchiale vecchia (la nuova era iniziata dall’1 aprile 1693, ore due pomeridiane, data della posa della prima pietra), essendo diventato pericolante, era stato demolito nel 1720.

Il 2 gennaio 1726 i sacerdoti Giorgio Corradini e Andrea Boselli, come “eletti della spettabile comunità [il Comune] per la fabrica di una Nova Torre, che doverà fabricarsi ad uso del popolo”, acquistarono una casa con la spesa di lire 850 planete, da Carlo e Giacomo Carlotti fratelli e Stefano Scovoli, in contrada della Parrocchiale, poco distante dalla stessa, confinante a mattina, mezzodì e sera con la strada e a monte con la proprietà di certo Antonio Fontana, sulla cui area doveva innalzarsi il campanile (notaio Giovanni Battista Tessadri).

L’opera, del monaco lonatese, architetto, Paolo Soratini (1680-1764), cominciò a sorgere, ricevendo il plauso di tutta la popolazione, che per parecchi anni successivi, in vario modo, contribuì alla spesa con elemosine, offerta di calce e mattoni, vendita di grano e altri prodotti agricoli, di indumenti confezionati e di lino filato dalle donne nelle stalle, durante l’inverno, da vendere nella non lontana Salò, città rinomata per questo prodotto.

La torre

E’ del 17 ottobre 1735 un atto del notaio Ottavio Ventura, con cui i deputati alla fabbrica, i sacerdoti Giacomo Bonati e Francesco Tessadri nominarono procuratore Agostino Salò, dandogli facoltà di procedere anche per vie legali, per costringere a pagamento Andrea Astolfi di Salò, rimasto debitore insolvente di lire 100, per una fornitura di filo: la “scossida” era urgente, afferma l’atto, “per suplire alle spese continuate, che indivisibili sen vanno con la Fabrica d’essa Torre”.

Alcuni anni dopo il campanile era giunto al completo innalzamento ed era in atto la copertura a piombo della cupola, effettuata da Michele Piamarta. Questi era un piombista bresciano, apprezzato e famoso, allora, sconosciuto e dimenticato dalla storia di queste opere, oggi. Gli atti notarili che si citeranno tra poco rivelano che egli aveva lavorato alla cupola del campanile di Capriano del Colle, a Lonato e persino alla copertura delle grandi cupole della chiesa della Pace a Brescia (1739-1740), dei padri Filippini.

La copertura del campanile di Carpenedolo minacciava di restare incompleta, con grave danno della struttura portante, in legno, perché era difficile reperire risorse finanziarie.

Il 17 luglio 1743 (atti del notaio Orazio Ventura) i deputati al campanile, i già citati don Francesco Tessadri e don Giacomo Bonati, “in estrema necessità di danaro per poter proseguire e terminare di coprire de piombi la cuppola già principiata, non dovendosi lasciar questa imperfetta pel grave danno, che ne riporterebbe tutto il legname, se per longo tempo avesse questo a rimanere esposto”, incaricarono don Bernardino Mancabelli di prendere a censo (mutuo) dalla cappellania Corradini, lire 850 planete, all’interesse annuo del 3,50 per cento, “per essere poi disposte in conto di pagamento di piombo per il signor Michele Piamarta di Brescia somministrato”; il debito doveva essere affrancato entro cinque anni, in due rate, cui i deputati pensavano di far fronte “colle elemosine, che annualmente van accattando”.

La copertura della torre riuscì a giungere al termine, ma restava da pagare l’ultima rata. E’ a questo punto che entra in campo la statua di San Bartolomeo, trattata quasi come baratto per un definitivo accordo, ma anche come suggello ideale di un’opera, che era stata lunga e laboriosa. I deputati alla fabbrica cercarono di ottenere un ultimo sconto dal Piamarta, ricordandogli, mediante deposizione giurata di tre testimoni, Francesco e Bernardo Franzoni e Stefano Bergamaschi, resa al notaio Francesco Tessadri, il 14 marzo 1746, i primitivi accordi stabiliti a voce con lui, e ottenendo la promessa, dal piombista, di favorire Carpenedolo, precisamente con la copertura a piombo, gratuita, della statua di San Bartolomeo.

L'atto del 14 marzo 1746

L’atto del 14 marzo 1746 racconta i tempi e termini degli accordi precedenti avvenuti tra i deputati e il Piamarta. Che cosa era dunque accaduto? In data non precisata (possiamo presumere nel 1742-1743), era stato raggiunto accordo verbale tra gli eletti al campanile e il Piamarta, per ricoprire la cupola. In seguito, il 20 settembre 1743 (i lavori erano già stati iniziati, come si è visto sopra) si stese scrittura notarile, alla presenza dei tre sopra citati testimoni, relativa al pagamento, nella quale, però, non si accennava al precedente accordo verbale.

I deputati, resisi conto, che quanto era stato stabilito a voce era più vantaggioso delle condizioni del contratto del 20 settembre 1743, ricorsero al Piamarta, eccependo che in quell’atto non si era fatto alcun riferimento a quanto prima convenuto verbalmente.

Il Piamarta accettò di rettificare l’accordo scritto, “in fede di galantuomo”, assicurando che avrebbe mantenuto quanto aveva promesso nella prima intesa verbale e convenne con i deputati per un nuova scrittura notarile (non se ne conosce la data); d’altra parte egli sperava di trarre maggior vantaggio dalla fabbrica della torre di Lonato, alla quale stava lavorando. Con questo nuovo accordo del 14 marzo 1746, si stabilirono le modalità dell’ultimo pagamento. Il Piamarta, sembra di capire, si mostrò totalmente disponibile a condizioni di ribasso di prezzo, pur di riscuotere tutto ciò che era possibile, ora che l’opera era compiuta e non poteva più ricorrere a ricatti di sospensione dei lavori: egli “promise, e stabelì, -recita l’atto- esprimendosi che il pagamento del ultima ratta restava rimesso tutto al volere e prudenza del Molto Reverendo Signor Don Francesco Tessadri uno de Deputati stessi, di pagargli solo ciò che del stesso fosse stato ordinato, di cui era impegno d’informarsi dal Reverendissimo Signor Arciprete di Capriano, e dalli Molto Reverendi Padri del Oratorio di San Filippo in Brescia, di quanto hanno speso con il stesso Signor Piamarta in simil fattura, volendo che ancora la Torre di Carpenedolo sia alla medesima condizione, e di servirla al medesimo prezzo; segiongendo [soggiungendo] anco più cortese esebicione [esibizione] di coprirgli ancora gratis la statua di San Bortolameo riguardo alla fattura però solamente, e di lasciargli correre il Piombo a soldi cinque di meno a raggion di peso [1 peso: 8 Kg] di quello che potesse averla da ogn’altro”.

Oltre i contenuti di carattere contrattuale e finanziario, il documento permette di trarre alcune deduzioni, per ciò che riguarda la nostra statua: essa raffigura senz’altro San Bartolomeo; la copertura a piombo dell’immagine era un lavoro in sovrappiù, rispetto alla cupola, promessa per indurre al pagamento dell’ultima rata della copertura di questa; forse la statua non era nata per essere rivestita di piombo: infatti il Piamarta presentò “cortese esebicione” a coprirla, come ad ingraziarsi i deputati del campanile, per indurli al pagamento definitivo.

Fin qui testimoniano gli atti coevi alla costruzione della torre nuova. Altri documenti dell’Ottocento, dell’Archivio parrocchiale, pubblicati in un numero del bollettino dello scorso anno, citano l’immagine come quella di San Bartolomeo.

Ricuperati i documenti, restaurato il monumento, confermata l’identità del Santo, non resta ai protagonisti che svolgere pienamente il loro specifico ruolo: a San Bartolomeo di continuare la sua protezione sulla popolazione di Carpenedolo; a questa di non dimenticarsi mai di chiederla. Il restauro, dopo tutto, non riguarda mai il ripristino solo di un manufatto, sia pure prezioso come la statua di un Santo, ma ancor più di ciò che esso significa.

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